Il volo di Bounou da Montreal ai 16 rigori parati

Una grande azienda che produce schiuma da barba e rasoi lo ha scelto per la pubblicità: Yassine Bounou, “le gardien aux cent mains”, il portiere dalle cento mani che ha portato il Marocco in semifinale e parato in carriera sedici rigori (dieci dal 2021), è in corsa per vincere il prossimo premio Yashin di France Football, ricevuto in passato da Alisson, Donnarumma e Courtois. La Fifa lo ha eletto “man of the match” con la Spagna e il Portogallo. Bounou è nato in un ospedale di Montreal, in Canada, dove il padre – ingegnere e insegnante di fisica – si era trasferito per ragioni di lavoro. Tutti i suoi tifosi, quelli della nazionale di Regragui e del Siviglia, lo chiamano Bono, come il vocalist degli U2. Quattro lettere che appaiono anche sulla sua maglia. È uno dei personaggi di questo Mondiale in Qatar. Ha sfrattato da Doha prima Luis Enrique e poi Ronaldo. Contro la Spagna ha fermato dal dischetto Sarabia, Soler e Busquets. E sabato ha spento l’interruttore del Portogallo, prendendo un pallone all’incrocio dei pali: mancavano pochi minuti, il tiro di João Felix avrebbe aperto la strada ai supplementari.

Conserva pochi ricordi del Canada, a tre anni era già rientrato in Marocco. È cresciuto nel quartiere di Mers Sultan, a Casablanca, e ha iniziato a giocare nel settore giovanile del Wydad. Ha deciso di fare il portiere perché i suoi idoli erano Buffon e Van der Sar: il primo gioca ancora, nel Parma, in serie B, mentre il secondo è il direttore generale dell’Ajax. Parla francese, inglese, spagnolo e arabo. È sposato con Imane e ha un fi glio, Isaac, al quale ha regalato i guanti dopo la partita con CR7: le foto, piene di tenerezza, hanno fatto il giro del web. Ha un cane che si chiama Ariel, “perché uno dei miei giocatori preferiti era l’argentino Ortega”, ha raccontato qualche mese fa.

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Bounou ha vinto nel 2020 l’Europa League con il Siviglia di Emery, ora è uno degli ambasciatori della nazionale marocchina e del calcio africano. Serietà, applicazione, carisma: ha trentuno anni, è alto un metro e 92, ha un contratto fi no al 2025. “Mio padre era un professore universitario. Ha insegnato fi sica ed è per questo che la mia famiglia ha vissuto in Canada. Ma quando ho compiuto tre anni siamo tornati a Casablanca. Ho imparato a parare sul pendio di un parcheggio, disegnando la porta sul muro e piazzando ai lati i bidoni della spazzatura”, ha confidato a El Mundo. Fece un provino a Saragozza, dove vivevano alcuni parenti. “Mio zio lavorava ai mercati generali, vicino allo stadio La Romareda”. Giocare all’estero era quasi un segno del destino. Nel 2010 era stato chiamato dal Nizza: in quel periodo aveva già debuttato nel campionato marocchino con il Wydad, ma alcuni problemi burocratici lo costrinsero a rientrare a Casablanca. E così, nel 2012, è stato acquistato dall’Atletico Madrid. La Spagna è la sua seconda casa. Il prestito al Saragozza nel 2014, l’arrivo al Girona da svincolato nel 2016. E poi, tre anni dopo, ecco il Siviglia, dove la gente lo adora e gli chiede ora di evitare al club la retrocessione in Segunda Division. Nel 2022 ha vinto il Trofeo Zamora per le parate più belle nella Liga. Nel Siviglia ha collezionato diversi record: primo portiere a segnare in campionato (gol di sinistro al Valladolid) e a rimanere imbattuto per 557 minuti.

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